Satira
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16 Gennaio - 3.929 visualizzazioni
Di Salvatore Granata.
Oggi pomeriggio ho letto sulla pagina Facebook di Sigfrido Ranucci che su "Il Foglio", un tal andrea marcenaro, nella sua rubrica si è detto dispiaciuto che il giornalista di Report non sia morto ai tempi in cui era inviato a Sumatra nel 2005.
A fargli barba, capelli e shampoo, è stato il figlio di Sigfrido, Emanuele, che con fermezza, determinazione e ironia, ha dato una lezione di stile, di giornalismo e di etica, tipiche di una persona perbene, intelligente e di chi ha un padre esemplare.
Ve lo ripropongo.
"Caro Andrea,
fortunatamente mi sono imbattuto così poche volte nelle pagine del "giornale" in cui scrivi da non sapere né il tuo cognome né se tu - spero vivamente per la categoria di no - sia un giornalista professionista o un comico satirico, sono il figlio di Sigfrido Ranucci e nonostante alcune volte me ne sorprenda anche io, non sono ancora orfano di padre.
Vivo da sempre con il pensiero, il timore che ogni volta che saluto mio padre possa essere l'ultima, del resto credo sia inevitabile quando vivi per decenni sotto scorta, quando hai sette anni e ci sono i proiettili nella cassetta della posta di casa tua, quando vai a mangiare al ristorante e ti consigliano di cambiare aria perché non sei ben gradito nella regione, quando ti svegli una mattina e trovi scientifica,
polizia, carabinieri e DIGOS in giardino perché casualmente sono stati lasciati dei bossoli, quando ricevi giornalmente minacce, pacchi contenenti polvere da sparo e lettere minatorie, o semplicemente quando ti abitui a non poter salire in macchina con tuo padre.
Ricordo perfettamente il periodo dello Tsunami e dell'isola di Sumatra, che giusto per precisione si trova in Indonesia e non India, quando papà con il parere contrario del suo Direttore Roberto Morrione decise di raccontare la vicenda in uno dei luoghi più martoriati dalle inondazioni, lontano dalle comodità e dai luoghi privilegiati dai quali tutti i media scrivevano.
È uno dei primi ricordi di cui ho contezza, avevo 5 anni, mia sorella 6, mio fratello forse 8, eravamo in macchina, erano circa 40 ore che nessuno riuscisse ad avere contatti con papà, mamma tratteneva le lacrime a fatica, sola con noi tre, faceva finta che andasse tutto bene, forse è stata la prima volta che ho avuto la sensazione che dovessi percepire la vita con papà come se fosse a tempo, con una data di scadenza.
Ebbene sì, è tornato sano e salvo e a distanza di 20 anni purtroppo per te, Andrea, per fortuna per noi e credo di poter dire per il paese è ancora qui, a svolgere il suo lavoro come sempre, vivo e vegeto anche se in tanti lo vorrebbero morto.
Il morto del giorno è il giornalismo italiano, ancora una volta, e chi è l'assassino è evidente a tutti".
Chapeau a Lele.
Se fossi il pennivendolo in premessa, mi andrei a nascondere. E per fortuna non lo sono.
Mentre se fossi il presidente dell'Ordine dei Giornalisti, espellerei immediatamente il soggetto dalla categoria per violenza verbale e inutilità sociale.
Sigfrido è patrimonio UNESCO del giornalismo italiano, non è un cerno né un capezzone e figuriamoci un mercenar(i)o. Giù le mani da costui.
Massima solidarietà al giornalista di Report e alla sua famiglia.
E massima condivisione per questa straordinaria umiliazione a "social unificati" di un piccolo megafono di regime.
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Vaccata