Chiacchiera
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19 Settembre - 2.669 visualizzazioni
E' già giovedì.
Riflessioni di un giornalista che si guarda intorno.
Di Luciano Ragno

Mi bastano due parole.

Leggo sull'Ansa:
“È stato accolto dal governo l'ordine del giorno firmato dal leghista Igor Iezzi sull'apertura di una commissione o un tavolo tecnico che possa valutare, ‘nel rispetto dei principi costituzionali', in caso di reati di violenza sessuale, la possibilità per il condannato di aderire con il suo consenso a percorsi di assistenza sanitaria, sia psichiatrica sia farmacologica, anche con un eventuale trattamento di 'blocco androgenico'".
La Lega esulta. Salvini: “Tolleranza zero per stupratori e pedofili”.
D'accordo su assistenza psichiatrica e farmacologica. Come vuole la Società civile.
Mi bastano altre due parole per farmi sobbalzare: blocco androgenetico. Vogliono dire: castrazione chimica.
Sia molto chiaro a evitare polemiche errate: la castrazione non andrebbe imposta obbligatoriamente ma proposta al condannato per avere un alleggerimento della pena (secondo alcuni la sospensione). Si dice: ma si fa in altri Paesi. Questo non ci obbliga a fare altrettanto, distinguersi è segno di indipendenza culturale. E di maturità.
Castrare una persona. Che parole terribili. Solo sentirle , piombo nel buio del Medioevo, quello più profondo dove c'erano le pene corporali.
Mi rifugio in Voltaire, era il XVIII secolo: “Là dove manca la carità, la legge è sempre crudele”.
Sono un giornalista e entro allora nella notizia. Su True-News.it del febbraio 1924 leggo il parere del criminologo Paolo Giuliani:
“La castrazione chimica potrebbe comportare un rischio di deresponsabilizzazione della persona coinvolta, portandola a credere di poter attribuire la propria condotta a un fattore “biologico” e non a una scelta che, nella maggior parte dei casi, è consapevole”.
Potrebbe quindi rivelarsi addirittura inutile. Ma a qualcuno addirittura fa comodo. Già prima dell'approvazione della legge.
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Fonte dell'immagine: Corriere della Sera.
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