Chiacchiera
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porcocanelivello 11
30 Aprile 2020 - 2.906 visualizzazioni
circa 650 anni fa moriva Caterina di Jacopo di Benincasa ossia santa caterina da siena patrona d'italia assieme a s. francesco e compatrona d'europa...santa?
vediamo chi era davvero sta signora

Ecco la sua incredibile storia:

«Caterina Benincasa, nota come Caterina da Siena, […] nacque il 25 marzo 1347, ventiquattresima figlia di una famiglia della piccola borghesia senese che evidentemente aveva smarrito il senso della misura: con lei venne alla luce una gemella, Giovanna, che però non sopravvisse.
Siamo ancora nel Medioevo, in cui ai pargoli non venivano certamente riservate tutte le attenzioni attuali: né Jacopo Benincasa, di professione tintore, né quella poveretta della moglie, Lapa Piacenti, avevano tempo per occuparsi nei dettagli di una così esorbitante nidiata. Quando compì dodici anni, i genitori pensarono bene che fosse giunto il tempo per togliersela dal desco e iniziarono a guardarsi intorno per trovare un buon partito cui affibbiarla. L'agiografia racconta che la ragazzina, dopo una iniziale esitazione, dichiarò alla costernata famiglia la sua intenzione di diventare sposa di Cristo, cui – disse – si era promessa. Mancano totalmente fonti neutrali e questa storiella edificante fa acqua da tutte le parti: Caterina, infatti, una volta superate le resistenze dei parenti, non poté entrare
in convento, dove avrebbe dovuto portare una dote, impossibile da sborsare per lo sterminato nucleo di Jacopo; però il tintore avrebbe dovuto scucire fior di soldi anche in caso di matrimonio, poiché nessuna famiglia si sarebbe accollata una bocca in più da sfamare se non dietro compenso […]
La storia di Caterina narrata dai suoi pii cantori, afferma che la futura santa ebbe la folgorazione all'età di sei anni «quando le appare Gesù vestito maestosamente, da Sommo Pontefice, con tre corone sul capo ed un manto rosso, accanto al quale stanno san Pietro, san Giovanni e san Paolo. Il Papa si trovava, a quel tempo, ad Avignone e la cristianità era minacciata dai movimenti ereticali» e che a sette fece voto di verginità: mi domando cosa mai potesse saperne, ma forse le pupette medievali erano più precoci di quelle dei secoli futuri. Il testo agiografico continua con affermazioni altrettanto incredibili:

«Della precocissima vocazione parla il suo primo biografo, il beato Raimondo da Capua (1330-1399), nella Legenda Maior, confessore di santa Caterina e che divenne superiore generale dell'ordine domenicano; in queste pagine troviamo come la mistica senese abbia intrapreso, fin da bambina, la via della perfezione cristiana: riduce cibo e sonno; abolisce la carne; si nutre di erbe crude, di qualche frutto; utilizza il cilicio…

Insomma: si incamminò sulla pericolosa china dell'anoressia. Quando i genitori le comunicarono di volerle dare marito – come abbiamo visto, a dodici anni, ossia nella preadolescenza – Caterina «reagì con forza: si tagliò i capelli, si coprì il capo con un velo e si serrò in casa». Dati i tempi, nessuno pensò a chiamare l'ambulanza del repartino, ma il padre reagì duramente, finché accadde qualcosa di prodigioso: l'allibito Jacopo, un bel dì, vide «una colomba aleggiare sulla figlia in preghiera» e interpretò l'evento come un segno della grazia divina.
Per quattro anni (anche se le notizie in merito sono poche e contraddittorie) la giovinetta se ne restò rinchiusa in una stanzetta della casa natia pregando e facendo ogni sorta di penitenza, poi, non potendo entrare nel convento di un Ordine monastico per motivi di budget famigliare, nel 1363 – ossia a sedici anni – decise
di vestire l'abito delle “mantellate”, l'Ordine terziario domenicano: ciò significava che avrebbe dovuto pronunciare i voti di povertà, castità e obbedienza, ma continuare a vivere nel mondo secolare, a carico della famiglia e non del monastero. Prima di essere ammessa, però, dovette ancora attendere: le “Sorelle della penitenza di san Domenico” non si mostrarono propense ad accogliere un'adolescente con gli ormoni in subbuglio. Accorte ed evidentemente esperte, accettavano di concedere l'abito bianco e il mantello nero solo a vedove o tranquille signorine, entrambe di età matura, nelle quali gli istinti sessuali avrebbero ragionevolmente dovuto essere sopiti. Di fronte a questo rifiuto, Caterina si ammalò: fu colpita da febbri persistenti e il suo viso si coprì di pustole marcescenti; guarì miracolosamente solo dopo che la priora, impressionata, decise di ammetterla tra le terziarie e le concesse l'abito.
Un altro mistero che avvolge la biografia di Caterina da Siena è il seguente: come riuscì una donna analfabeta a scrivere le opere che le valsero il titolo di Dottore della Chiesa? Molto semplicemente facendole scrivere da altri, in particolare dal suo confessore, l'ovviamente beato Raimondo da Capua, che nella Vita di Santa Caterina da Siena – Legenda Maior, consegnò ai posteri la sua biografia. Dunque tutto ciò che di lei sappiamo ufficialmente proviene da fonte decisamente poco attendibile. Ritengo – ma questa è un'opinione strettamente personale – che la donna venne sfruttata per servire gli scopi dell'Ordine domenicano, cui il
buon Raimondo apparteneva e in generale la politica di certa parte della Chiesa.
La sua leggenda di vergine asceta auto consacratasi a Dio in tenerissima età, i suoi millantati contatti con i Piani Alti, ne fecero il prefetto testimonial cui attribuire parole che «sono vere e proprie colate di lava, documenti di una realtà che impegna cielo e terra», sospingendo «nel divino la realtà contingente», in cui «gli appelli alle autorità, sia religiose che civili, sono fermi e intransigenti», trasformando la giovane senese dalla personalità disturbata in un «rude ammonitore di Pontefici e re», dietro cui si nascose sempre una regia occulta. Attualmente si chiamerebbe circonvenzione di incapace.
Sono celebri, infatti, le lettere da lei indirizzate al papa e anche la sua visita ad Avignone, che convinse Gregorio XI ad abbandonare l'esilio per tornare a Roma. A riprova che fu utilizzata per scopi che esulavano dalla fede, nel rovente clima che si era venuto formando per la successione al soglio petrino in seguito alla morte di Gregorio XI, allo scoppio dello scisma d'Occidente del 1377 Caterina si schierò (fu fatta schierare) dalla parte di Urbano VI contro l'antipapa Clemente VII, reo di essersi di nuovo stabilito sulle rive del Rodano.
Oltre a Raimondo, Caterina ebbe altri solerti aiutanti, cui – si racconta – dettò quasi quattrocento lettere, le Orazioni e il Dialogo della Provvidenza ovvero Libro della divina dottrina, il suo celebre trattato di mistica e ascetica. Da un certo punto in avanti, infatti, intorno a lei si formò «pian piano la “bella brigata”: artigiani e professionisti, poeti e pittori, religiosi e laici, nobildonne e popolane. Un vero e proprio “movimento” nel quale tutti, contagiati da Caterina […], impararono un amore totale per Cristo e per la Chiesa. […] Negli anni in cui Petrarca cominciava a pilotare la cultura europea in direzione opposta, permane questa sacca di resistenza in cui ci si aiuta a “prendere ragione” della fede e della speranza». Una setta, insomma, che andò espandendosi a macchia d'olio, in cui è ragionevole pensare esistessero anche personaggi influenti votati alla più stretta ortodossia, in un tempo in cui religione e politica andavano spudoratamente a braccetto e le faide per il potere preoccupavano santaromanachiesa molto più della salvezza delle anime.
Naturalmente nella vita di Caterina non mancarono le estasi e il matrimonio con Cristo, che – a detta dei solito Raimondo di Capua – avvenne nel 1367, quando la giovane aveva vent'anni: le apparvero Gesù, la Vergine e una folla di santi; fu una cerimonia in grande stile, dunque, con molti invitati e lo sposo volle strafare, poiché le mise al dito non un anello qualsiasi, ma… il proprio prepuzio!
Deschner afferma che la poveretta «strillando, era capace di rotolarsi per terra e domandare con insistenza
gli “abbracci” del suo “dolcissimo, e amatissimo” Gesù, aveva al dito il suo bel prepuzio invisibile, regalatole da lui in persona». Raimondo «racconta sovente e con grande pudore ch'ella gli aveva confessato di vedere
sempre l'anello, anzi, “che non c'era momento che non lo vedesse”». Perfino un credente dovrebbe rimanere almeno perplesso nel leggere simili assurdità, che a mio modestissimo avviso nascondono una tale dose di irriverenza da non poter passare inosservata, rasentando (o addirittura superando) il Grand-Guignol.
Quanto alle estasi di Caterina, il beato confessore ce le descrive così:

«Qui stava ritirata in preghiera e sempre qui aveva continui colloqui familiari con Gesù Cristo suo Sposo. Aveva frequenti estasi e in quegli stava appoggiata ad un pilastro ottagonale. Qui dette le sue vesti a Gesù sotto forma di povero, che poi la rivestì di vesti che non le fecero più sentire il freddo. Qui le apparve Gesù circondato da luce che le aprì il petto e le porse il suo cuore, dicendo: “Ecco carissima figlia mia, siccome
io l'altro giorno ti tolsi il tuo cuore, così ora ti dò il mio per il quale tu sempre vivi”».

Mancano solo le stimmate: e infatti giunsero anche quelle, nel 1375, ma in maniera anomala. Rimasero infatti invisibili a chiunque, tranne che alla santa e si palesarono agli occhi altrui solo al momento della sua morte. Faccio sinceramente fatica a trattenermi dal commentare.
Se poi aggiungiamo che nell'assistere gli ammalati, la pia donna era usa immergere la faccia nelle loro piaghe purulente, il quadro (clinico) è competo.
Caterina Benicasa, terziaria domenicana, morì il 29 aprile 1380, «a 33 anni, gli stessi di Cristo, nel quale si era persa per ritrovare l'autentica essenza»: fu dichiarata santa da Pio II – al secolo Enea Silvio Piccolomini, nativo di Corsignano, in provincia di Siena – nel 1461. Il miracolo che, oltre a una questione puramente campanilistica, diede una spinta alla sua canonizzazione, attiene a quei racconti leggendari che aleggiano spesso intorno alle vite dei personaggi elevati alla Gloria degli altari: nel 1376, Caterina transitò da Varazze, in provincia di Savona, dove trovò la cittadina in balia della peste; pregò così intensamente, che il terribile flagello cessò.
La tomba di santa Caterina da Siena si trova a Roma, nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, ma c'è da domandarsi quanto dei suoi resti contenga il sarcofago di marmo situato sotto l'altare maggiore. La testa, infatti, si trova a Siena, nella basilica di San Domenico, dove fu traslata nel 1381, probabilmente putrescente
dal momento che era trascorso solo un anno dalla morte; nella stessa chiesa si trova anche un dito della santa, con cui, ancora oggi, viene impartita la benedizione all'Italia e alle Forze Armate: è auspicabile che non sia lo stesso attorno al quale Gesù infilò il proprio prepuzio. Precisano i cateriniani, che «la borsa in seta che contenne la Testa durante il viaggio da Siena a Roma è conservata nella celletta di Santa Caterina presso la Casa-Santuario dove sono conservati anche il pomo del bastone sul quale era solita appoggiarsi e la lampada per recarsi di notte allo Spedale di Santa Maria della Scala a svolgere l'opera di infermiera volontaria» e dedicarsi alle disgustose attività cui era solita; gli zelanti custodi delle sue reliquie, aggiungono con lugubre orgoglio che nello stesso luogo sono conservate le «cordicelle [i cilici] con le quali la mantellata senese era solita disciplinarsi». Ma non è finita: il piede sinistro di Caterina è custodito nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, nel santuario della città natia a lei dedicato c'è la scaglia di una scapola, nel monastero del Santo Rosario di Monte Mario, a Roma, si trova la mano sinistra con tanto di segno delle stimmate e infine ad Astenet, in Belgio, i devoti pregano davanti a una sua costola. La macabra usanza delle reliquie, dunque, fece sì che quella povera giovane tormentata, le cui drammatiche condizioni mentali furono sfruttate fino all'osso da santaromanachiesa, non trovasse pace nemmeno nella morte»
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Vaccata