Chiacchiera
31 Dicembre 2022 - 4.601 visualizzazioni
Per decenni sui libri di storia furono negati gli atti di barbarie commessi da quei bastardi senza gloria...a cominciare dalle foibe. Se Satana esiste davvero spero che stia compiendo appieno il suo dovere questa notizia vera lo trovato in web
SEGATO A META' NELLA VALLE
Allorquando cominciai a interessarmi degli eccidi del dopo 25 Aprile commessi in Romagna, si presentava quasi ciclicamente uno sconvolgente episodio la cui credibilità avevo sempre respinto: - La sa la storia di quel ragazzo segato in due nella valle?
Rividi i miei appunti, ricercai chi me li avesse consentiti, ma quelle persone, già anziane allora erano tutte morte e anche il pescatore che, lontano un chilometro, chiuso nella sua capanna di canna palustre che aveva visto tutto, era finito tra i più.
Le mie ricerche presero vigore e alla fine portarono alla scoperta della vittima, Antonio Giorgi .
Era nato a Comacchio e aveva seguito il padre da poco divenuto vedovo, nel Ravennate. Alcuni parenti, pur nella loro povertà di pescatori, accudirono il piccolo fino a quando decise di arruolarsi. Aveva 18 anni e lo fece, con la guerra al culmine, nella Guardia nazionale repubblicana per l'alettante soldo d'ingaggio.
Era il 1944 quando partì, per rientrare alla fine della guerra, in aprile o nel maggio seguente. Giunse alla Fabbrica Vecchia, il primo punto d'arrivo di Porto Corsini, ove fu fermato da partigiani colà appostatisi in posto di blocco per intercettarne i rientri.
Fu caricato su una barca e portato a terra nella pineta che s'apriva nell'altra sponda tra rovi e spinaroni.
Qui avvenne lo scempio, lo strazio di quel corpo tagliato a metà e mai dimenticato dagli abitanti di Porto Corsini. I resti furono insaccati, gettati in mare e respinti sulla battigia; da ignote mani poi recuperati e fatti sparire per sempre.
Capo partigiano indiscusso di quel territorio diviso dalle acque del canale Candiano era tale Giacomo Trombini, un iracondo pescatore di vongole arricchitosi con i residuati bellici lasciati dagli inglesi.
Allora non lo sapevo ma già l'episodio, assai diffuso dalla vox populi, era stato citato anche nelle memorie di un famoso intellettuale lughese, Francesco Balilla Pratella: “Con l'entrata dei liberatori si era scatenata apertamente anche in Ravenna quella guerra civile. Si afferma tra l'altro e apertamente che nella pineta di Porto Corsini, oltre alle comuni impiccagioni e fucilazioni, un giovane venisse legato a un pino atterrato e qui segato vivo per metà con un segone da taglialegna, fra le urla strazianti e le risate di scherno dei suoi carnefici”.
Giacomo trombini nel 1985 soffrì il lutto del suicidio d'un suo figlio, Roberto. Con la barca aveva raggiunto la valle, la stessa valle dello scempio, e là si era sparato.
Lo scrissi in un mio libro,” I lunghi mesi del ‘45” concludendo la pagina con queste parole “Si suicidò, si disse per il rimorso che il padre non ebbe mai a soffrire”. Parole che scatenarono le ire del figlio Andrea, al tempo presidente dell'Associazione Industriali di Ravenna, che mi querelò per diffamazione aggravato a mezzo stampa.
Fu un annoso processo che si concluse in primo grado con la condanna a una multa, e definitivamente, con la prescrizione.
Sopraffatto dalle querele continuo ancora oggi a dare fastidio alla bocciofila, affrontando udienze su udienze, attacchi delle parti civili con ridicole proposte di affidamento a servizi sociali e fantasiose richieste pecuniarie.
Cesserò di scrivere quando la resistenza marxista si spoglierà del mito e tornerà storia, con le sue tragedie e le sue atrocità.
SEGATO A META' NELLA VALLE
Allorquando cominciai a interessarmi degli eccidi del dopo 25 Aprile commessi in Romagna, si presentava quasi ciclicamente uno sconvolgente episodio la cui credibilità avevo sempre respinto: - La sa la storia di quel ragazzo segato in due nella valle?
Rividi i miei appunti, ricercai chi me li avesse consentiti, ma quelle persone, già anziane allora erano tutte morte e anche il pescatore che, lontano un chilometro, chiuso nella sua capanna di canna palustre che aveva visto tutto, era finito tra i più.
Le mie ricerche presero vigore e alla fine portarono alla scoperta della vittima, Antonio Giorgi .
Era nato a Comacchio e aveva seguito il padre da poco divenuto vedovo, nel Ravennate. Alcuni parenti, pur nella loro povertà di pescatori, accudirono il piccolo fino a quando decise di arruolarsi. Aveva 18 anni e lo fece, con la guerra al culmine, nella Guardia nazionale repubblicana per l'alettante soldo d'ingaggio.
Era il 1944 quando partì, per rientrare alla fine della guerra, in aprile o nel maggio seguente. Giunse alla Fabbrica Vecchia, il primo punto d'arrivo di Porto Corsini, ove fu fermato da partigiani colà appostatisi in posto di blocco per intercettarne i rientri.
Fu caricato su una barca e portato a terra nella pineta che s'apriva nell'altra sponda tra rovi e spinaroni.
Qui avvenne lo scempio, lo strazio di quel corpo tagliato a metà e mai dimenticato dagli abitanti di Porto Corsini. I resti furono insaccati, gettati in mare e respinti sulla battigia; da ignote mani poi recuperati e fatti sparire per sempre.
Capo partigiano indiscusso di quel territorio diviso dalle acque del canale Candiano era tale Giacomo Trombini, un iracondo pescatore di vongole arricchitosi con i residuati bellici lasciati dagli inglesi.
Allora non lo sapevo ma già l'episodio, assai diffuso dalla vox populi, era stato citato anche nelle memorie di un famoso intellettuale lughese, Francesco Balilla Pratella: “Con l'entrata dei liberatori si era scatenata apertamente anche in Ravenna quella guerra civile. Si afferma tra l'altro e apertamente che nella pineta di Porto Corsini, oltre alle comuni impiccagioni e fucilazioni, un giovane venisse legato a un pino atterrato e qui segato vivo per metà con un segone da taglialegna, fra le urla strazianti e le risate di scherno dei suoi carnefici”.
Giacomo trombini nel 1985 soffrì il lutto del suicidio d'un suo figlio, Roberto. Con la barca aveva raggiunto la valle, la stessa valle dello scempio, e là si era sparato.
Lo scrissi in un mio libro,” I lunghi mesi del ‘45” concludendo la pagina con queste parole “Si suicidò, si disse per il rimorso che il padre non ebbe mai a soffrire”. Parole che scatenarono le ire del figlio Andrea, al tempo presidente dell'Associazione Industriali di Ravenna, che mi querelò per diffamazione aggravato a mezzo stampa.
Fu un annoso processo che si concluse in primo grado con la condanna a una multa, e definitivamente, con la prescrizione.
Sopraffatto dalle querele continuo ancora oggi a dare fastidio alla bocciofila, affrontando udienze su udienze, attacchi delle parti civili con ridicole proposte di affidamento a servizi sociali e fantasiose richieste pecuniarie.
Cesserò di scrivere quando la resistenza marxista si spoglierà del mito e tornerà storia, con le sue tragedie e le sue atrocità.
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Junio8: Grandissimo, onore a te
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31 Dicembre 2022 alle ore 18:20 · Ti stimo · Rispondi
oliver: Eppure abbiamo avuto un presidente che baciò una certa bara ! 😰
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31 Dicembre 2022 alle ore 18:53 · Ti stimo · Rispondi