Chiacchiera
16 Febbraio - 3.138 visualizzazioni
Negli ultimi anni serie televisive, videogiochi e fumetti hanno presentato al grande pubblico l'idea che tra i norreni non solo alcune donne combattessero, ma che la cosa fosse normale. Tutto molto bello e anche molto “femminista”, ma ci sono concrete prove che i popoli del Nord fossero tanto “progressisti” rispetto al patriarcale mondo cristiano?
Nella mitologia norrena sono presenti le valchirie, donne al servizio di Óðinn che dopo ogni battaglia scendevano dal cielo per raccogliere le anime dei caduti: una parte andava nel Valhalla, un'altra nel Fólkvangr, il palazzo della dea Freyja.
Nell'Edda poetica sono nominate le più importanti: Skuld, Skögul, Gunnr, Hildr, Göndul, Geirskögul, Hrist, Mist,Skeggjöld, Þrúðr, Hlökk, Herfjötur, Göll, Geirahöð, Randgríð, Ráðgríð e Reginleif. Altre tre, chiamate Hlaðguðr, Hervör e Ölrún, sono note come mogli dei tre fratelli Slagfiðr, Egil e Völund, quest'ultimo un abilissimo fabbro, dai quali però si separarono dopo 7 anni per andare in una battaglia da cui non tornarono più.
Nelle saghe leggendarie sono presenti diverse donne mortali dedite alla pratica della guerra, le cosiddette skjaldmær , ‘fanciulle dello scudo'. Una delle più famose, anche in virtù del successo della serie TV Vikings, è Lagertha, la moglie di Ragnarr Loðbrók.
Due donne entrambe di nome Hervor compaiono nell'omonima saga. La prima Hervor era figlia del re Angantyr e fu educata come un uomo, tanto di indossare sempre abiti maschili e partecipare personalmente alle razzie vichinghe. La seconda Hervor era nipote di costei e prese parte alla guerra dei goti contro gli unni, cadendo valorosamente in battaglia.
Altrove si parla di Auðr, che fu lasciata dal marito perché aveva modi troppo mascolini e si vendicò piantandogli una spada nel cuore. Aveva preso decisamente bene la separazione.
Un'altra notissima figura del folklore nordico è senza dubbio Brynhildr, la guerriera amata da Sigfrido il cui status di valchiria o di skjaldmær non è sempre chiaro. Di solito, infatti, viene presentata come la sorella del re Atli, da identificare con il famigerato Attila, e a volte come la regina d'Islanda. Fiera e insuperabile nella lotta, ebbe un ruolo tristemente decisivo nell'uccisione del guerriero Sigfrido.
Anche i Gesta Danorum di Sassone Grammatico abbondano di donne guerriere: oltre alla già citata Lagertha vi troviamo Veborg, che prese parte alla leggendaria battaglia di Brávellir del 750.
Da tutte queste storie, però, emerge già un dato importante: le donne guerriere non erano considerate dai norreni la norma, ma piuttosto un'eccezione, una bizzarria, uno sconvolgimento del naturale ordine sociale. Inoltre, il fatto che simili personaggi compaiano nelle leggende non significa niente a livello storico; altrimenti dovremmo supporre che anche tra i romani ci fossero donne guerriere perché nell'Eneide si parla di Camilla, o che i greci facessero combattere le loro signore perché nei miti comparivano le Amazzoni.
Se si vuole dimostrare l'effettiva presenza di donne guerriere in seno alla società vichinga, bisogna cercare prove altrove, nella storiografia “seria” e nell'archeologia. E purtroppo lì i dati sono scarsi e ambigui.
Giovanni Scilitze registra la presenza di donne guerriere nelle fila di Sviatoslav I di Kiev nel 971. Va però tenuto presente che qui si parla dei variaghi della Rus', ossia di una cultura nata dalla commistione di un'élite culturalmente germanica e un substrato slavo che aveva assorbito la prima: estenderne le caratteristiche all'intero mondo scandinavo è quantomeno azzardato.
Ben più solida sembra la notizia riguardante Freydís Eiríksdóttir, che avrebbe partecipato all'esplorazione scandinava del Nord America e preso parte a una battaglia contro i nativi americani. Certo, gli accenni a Freydís non specificano se fosse una fanciulla dello scudo come quelle delle saghe o una combattente improvvisata, e in generale non ci sono prove che tra gli scandinavi l'esistenza di donne guerriere fosse regolamentata e istituzionalizzata.
A livello archeologico ha fatto molto scalpore la cosiddetta sepoltura di Birka, una tomba scoperta in Svezia nel 1889, contenente uno scheletro e un ricco corredo funebre fatto di armi, scudi, pedine da tafl (gli “scacchi” nordici) e resti di cavalli. Una tomba da guerriero, in apparenza, e infatti per lungo tempo è stata classificata come tale.
Nel 2014, però, uno studio osteologico effettuato sulle ossa insinuò il sospetto che lo scheletro appartenesse a una donna. Un nuovo studio nel 2017 confermò tali impressioni: la persona sepolta a Birka era di sesso femminile.
Inutile dire quali furono le logiche conclusioni: se una donna era stata sepolta con armi e cavalli, significava che era una combattente! Anzi, la presenza delle pedine del tafl suggeriva che fosse anche una comandante, esperta nel guidare e coordinare le truppe in battaglia!
Il problema è che il ritrovamento di Birka, per ora, è isolato. In secoli di ricerca archeologica non è stato trovato nulla di lontanamente paragonabile, e questo rende impossibile capire se la sepoltura delle donne con armi fosse un costume diffuso o un'eccezione.
L'assenza di ritrovamenti simili con i quali fare dei confronti impedisce anche di cogliere l'interpretazione giusta da dare alla presenza di armi in una sepoltura femminile: erano legate alla sua reale occupazione quando era in vita, o piuttosto un semplice simbolo dello status sociale, o ancora un riferimento alla parentela con qualche capo potente e vittorioso?
Per ora, non ci resta che sognare con la fantasia e sperare che qualche nuovo ritrovamento in Svezia o in Danimarca getti più luce su questo aspetto della cultura norrena.
Nella mitologia norrena sono presenti le valchirie, donne al servizio di Óðinn che dopo ogni battaglia scendevano dal cielo per raccogliere le anime dei caduti: una parte andava nel Valhalla, un'altra nel Fólkvangr, il palazzo della dea Freyja.
Nell'Edda poetica sono nominate le più importanti: Skuld, Skögul, Gunnr, Hildr, Göndul, Geirskögul, Hrist, Mist,Skeggjöld, Þrúðr, Hlökk, Herfjötur, Göll, Geirahöð, Randgríð, Ráðgríð e Reginleif. Altre tre, chiamate Hlaðguðr, Hervör e Ölrún, sono note come mogli dei tre fratelli Slagfiðr, Egil e Völund, quest'ultimo un abilissimo fabbro, dai quali però si separarono dopo 7 anni per andare in una battaglia da cui non tornarono più.
Nelle saghe leggendarie sono presenti diverse donne mortali dedite alla pratica della guerra, le cosiddette skjaldmær , ‘fanciulle dello scudo'. Una delle più famose, anche in virtù del successo della serie TV Vikings, è Lagertha, la moglie di Ragnarr Loðbrók.
Due donne entrambe di nome Hervor compaiono nell'omonima saga. La prima Hervor era figlia del re Angantyr e fu educata come un uomo, tanto di indossare sempre abiti maschili e partecipare personalmente alle razzie vichinghe. La seconda Hervor era nipote di costei e prese parte alla guerra dei goti contro gli unni, cadendo valorosamente in battaglia.
Altrove si parla di Auðr, che fu lasciata dal marito perché aveva modi troppo mascolini e si vendicò piantandogli una spada nel cuore. Aveva preso decisamente bene la separazione.
Un'altra notissima figura del folklore nordico è senza dubbio Brynhildr, la guerriera amata da Sigfrido il cui status di valchiria o di skjaldmær non è sempre chiaro. Di solito, infatti, viene presentata come la sorella del re Atli, da identificare con il famigerato Attila, e a volte come la regina d'Islanda. Fiera e insuperabile nella lotta, ebbe un ruolo tristemente decisivo nell'uccisione del guerriero Sigfrido.
Anche i Gesta Danorum di Sassone Grammatico abbondano di donne guerriere: oltre alla già citata Lagertha vi troviamo Veborg, che prese parte alla leggendaria battaglia di Brávellir del 750.
Da tutte queste storie, però, emerge già un dato importante: le donne guerriere non erano considerate dai norreni la norma, ma piuttosto un'eccezione, una bizzarria, uno sconvolgimento del naturale ordine sociale. Inoltre, il fatto che simili personaggi compaiano nelle leggende non significa niente a livello storico; altrimenti dovremmo supporre che anche tra i romani ci fossero donne guerriere perché nell'Eneide si parla di Camilla, o che i greci facessero combattere le loro signore perché nei miti comparivano le Amazzoni.
Se si vuole dimostrare l'effettiva presenza di donne guerriere in seno alla società vichinga, bisogna cercare prove altrove, nella storiografia “seria” e nell'archeologia. E purtroppo lì i dati sono scarsi e ambigui.
Giovanni Scilitze registra la presenza di donne guerriere nelle fila di Sviatoslav I di Kiev nel 971. Va però tenuto presente che qui si parla dei variaghi della Rus', ossia di una cultura nata dalla commistione di un'élite culturalmente germanica e un substrato slavo che aveva assorbito la prima: estenderne le caratteristiche all'intero mondo scandinavo è quantomeno azzardato.
Ben più solida sembra la notizia riguardante Freydís Eiríksdóttir, che avrebbe partecipato all'esplorazione scandinava del Nord America e preso parte a una battaglia contro i nativi americani. Certo, gli accenni a Freydís non specificano se fosse una fanciulla dello scudo come quelle delle saghe o una combattente improvvisata, e in generale non ci sono prove che tra gli scandinavi l'esistenza di donne guerriere fosse regolamentata e istituzionalizzata.
A livello archeologico ha fatto molto scalpore la cosiddetta sepoltura di Birka, una tomba scoperta in Svezia nel 1889, contenente uno scheletro e un ricco corredo funebre fatto di armi, scudi, pedine da tafl (gli “scacchi” nordici) e resti di cavalli. Una tomba da guerriero, in apparenza, e infatti per lungo tempo è stata classificata come tale.
Nel 2014, però, uno studio osteologico effettuato sulle ossa insinuò il sospetto che lo scheletro appartenesse a una donna. Un nuovo studio nel 2017 confermò tali impressioni: la persona sepolta a Birka era di sesso femminile.
Inutile dire quali furono le logiche conclusioni: se una donna era stata sepolta con armi e cavalli, significava che era una combattente! Anzi, la presenza delle pedine del tafl suggeriva che fosse anche una comandante, esperta nel guidare e coordinare le truppe in battaglia!
Il problema è che il ritrovamento di Birka, per ora, è isolato. In secoli di ricerca archeologica non è stato trovato nulla di lontanamente paragonabile, e questo rende impossibile capire se la sepoltura delle donne con armi fosse un costume diffuso o un'eccezione.
L'assenza di ritrovamenti simili con i quali fare dei confronti impedisce anche di cogliere l'interpretazione giusta da dare alla presenza di armi in una sepoltura femminile: erano legate alla sua reale occupazione quando era in vita, o piuttosto un semplice simbolo dello status sociale, o ancora un riferimento alla parentela con qualche capo potente e vittorioso?
Per ora, non ci resta che sognare con la fantasia e sperare che qualche nuovo ritrovamento in Svezia o in Danimarca getti più luce su questo aspetto della cultura norrena.
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TrafficantiDiIronia:
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16 Febbraio alle ore 10:59 · Ti stimo · Rispondi
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Benemerita59: La mia ignoranza mi spaventa 😟
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16 Febbraio alle ore 10:59 · Ti stimo · Rispondi
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Maisobrio: LenebbiediAvalon mi raccomando: scrivi più spesso e, soprattutto, non essere così conciso! Sviluppa bene i concetti e non essere ermeticamente ristretto.🤣🤣🤣
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16 Febbraio alle ore 11:10 · Ti stimo · Rispondi
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Yeshua:
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16 Febbraio alle ore 11:13 · Ti stimo · Rispondi
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Epaminonda: in realtà conosciamo veramente poco dei norreni
16 Febbraio alle ore 11:32 · Ti stimo · Rispondi
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Bugodelsugo: Ma le donne vichinghe praticavano la fellatio ? Ed il cunnilingum ?
16 Febbraio alle ore 11:33 · Ti stimo · Rispondi